Arte Cretese e Micenea

Arte Cretese e Micenea

 

 

  • Itinerario nella storia – Dal mito alla storia
    • Contemporaneamente popoli Mesopotamia e Egitto ==> grande civiltà isola di Creta. Perchè?: – incrocio importanti rotte commerciali del Mediterraneo – ponte ideale tra Oriente e Occidente. Fu preceduta da cultura “cicladica”, sviluppatasi tra neolitico ed età del bronzo (circa 3200-1750 a.C.) nell’arcipelago delle Cicladi, (dal greco kyklos, cerchio). primo periodo di straordinaria fioritura poi un’improvvisa e, forse, tragica fine. Già dal 1600 a.C. circa, società cretese (detta anche «minoica» da nome re Minosse) venne a contatto achèi che poi l’avrebbero sottomessa. I Cretesi, influenzarono i loro stessi invasori. Da civiltà cretese, ebbe origine quella acheo-micenea, così chiamata dal nome della più importante citta achea, Micene, nel Peloponneso. Le due civiltà, sono una la continuazione dell’altra ed è da esse si svilupperà quella greca.

II mito
I Greci riconoscevano origine cretese della loro civiltà nel racconto mitico di Dedalo, considerato il primo architetto, scultore e inventore. Egli fu anche costruttore palazzo Minosse e del suo leggendario labirinto. Fuggito dall’isola, Dedalo si sarebbe poi stabilito in terra greca praticando e divulgando le proprie arti. In questo senso anche il progressivo sostituirsi dei Greci ai Cretesi nell’egemonia sui traffici e sui commerci nel Mediterraneo orientate viene spiegato attraverso il mito greco di Teseo.

La storia. Le fonti scritte
Nell’universo storico miceneo sono ambientate l’Iliade e l’Odissea, i due grandi poemi omerici, del IX-VIII secolo a.C., dai quali sono state tratte molte informazioni su quell’antica società pre-greca. L’Iliade (da Ilio o Troia) racconta gli ultimi 50 giorni della guerra di Troia durata dieci anni. L’Odissea, narra il lungo peregrinare per mare dell’eroe Odisseo (che i latini hanno chiamato Ulisse) di ritorno da Troia per raggiungere la sua isola Itaca.

La storia. Gli scavi archeologici
Fu soprattutto grazie alle scoperte degli archeologi che dal mito siamo passati alla conoscenza storica. – Heinrich Schliemann (1822-1890) scavi nella Troade in Asia Minore – Sir Arthur John Evans (1851-1941) scopritore e restauratore tra il 1900 e il 1932 del Palazzo di Cnosso – Luigi Pernier (1874-1937) inizio Novecento, esplorò il Palazzo di Fèsto e la cosiddetta “villa” di Hàghia Triàda nella piana della Messarà, attraversata dal flume Jeropotamos – Joseph Chatzidrikis (1848-1936) nel 1915, gli scavi del Palazzo di Mallia, sulla collina Azymo – Leon Pomerance (1907-1988) finanziò nel 1960 gli scavi del Palazzo di Zakro Informazioni decisive potrebbero venirci dalla decifrazione di quella forma di scrittura (la geroglifica) rimasta ancora da interpretare, delle tre (le altre due sono le cosiddette “lineare A” e “lineare B” che erano in uso sull’isola.

  • I Cretesi e le citta-palazzo – II popolo difeso dal mare
    • Periodo prepalaziale (2500-2000 a.C.)
      Periodo precedente alla costruzione dei palazzi. Già da quest’epoca i Cretesi costruivano edifici in mattoni crudi e dipingevano le pareti interne, inoltre avevano sviluppato una tecnica ceramica che alcuni avvicinano allo stile detto di Kamàres.

Periodo protopalaziale (2000-1700 a.C.)
– vengono edificati i grandi palazzi nuclei delle città di Knosso, Festo e Mallia.
– primi palazzi presentavano già quell’organizzazione spaziale che si sarebbe conservata quasi immutata sino alla scomparsa della civilta cretese;
– i palazzi si sviluppavano attorno a uno spazio centrale a pianta rettangolare lastricato e scoperto, e i diversi ambienti erano situati a vari livelli, assecondando l’andamento del terreno;
– periodo protopalaziale, è meglio rappresentato dall’arte della ceramica in stile di Kuanrires (dalla grotta omonima sul monte Ida);
– tecnica affinata con il passare del tempo; essi riuscivano a produrre ceramiche con pareti sottilissime (a «guscio d’uovo»). I colori usati sono pochi: giallo, rosso e bianco su fondo nero; motivi ornamentali principali: linee curve, spirali e cerchi che si intersecano formando decorazioni geometriche.
Spesso alla pittura si univa l’ornamentazione plastica, cioè a rilievo, realizzata tramite la tecnica dell’incollatura. Ne è un esempio il cratere proveniente da Festo ornato sia da una decorazione geometrica (a scacchi bianchi e rossi nel corpo spazioso, al di sotto delle arse, cioe i manici) sia con grandi fiori a rilievo, dai petali distesi, collocati sull’alto piede e nella fascia tra le anse e l’ampia bocca.

Periodo neopalaziale (1700-1400 a.C.)
Periodo del quale ci sono pervenuti più documenti. I primi palazzi scomparvero, forse a causa di un terremoto, ma vennero subito riedificati. Essi svolgevano tre precise funzioni: – economica (molto spazio era riservato alle botteghe e ai magazzini ); – politica (erano sede del signore, o re-sacerdote, che aveva il dominio di un vasto territorio circostante); – religiosa (al loro interno vi erano anche vari ambienti destinati al culto).

      • Palazzo di Cnosso
        – attorno al palazzo-città si dispongono le abitazioni private;
        – mancano mura difensive;
        – sala del trono affacciava sulla grande corte centrale;
        – vasta sala a pilastri forse riservata a cerimonie religiose;
        – stretti corridoi usati per processioni; – ampia superficie esterna con gradinate (in alto a sinistra nella pianta), impropriamente detta “teatro”, destinata forse a riti religiosi o a rappresentazioni;
        – numerosi ambienti sulla sinistra, lunghi, stretti, senza finestre e disposti a pettine, erano dei magazzini;
        – ambienti nella parte superiore destra erano delle botteghe artigiane;
        – vi erano degli spazi adibiti a residenza ed altri a giardini
        – l’alternarsi di passaggi, scalinate di collegamento fra un livello e l’altro e logge caratterizzate da colonne tozze e colorate a tinte vivaci dovevano provocare una forte suggestione;
        – colonne, probabilmente di legno, avevano un diametro che diminuiva dall’alto verso il basso (rastrematura). Erano sormontate da capitelli a toro e poggiavano su una base di pietra a sezione circolare.

Pittura parietale
Stesse tinte accese delle colonne si ritrovano nella pittura parietale. Ne sono esempi i cicli e le decorazioni a soggetto geometrico e naturalistico che ornavano i principali ambienti del Palazzo di Cnosso. Pitture molto rovinate, sottoposte a pesanti restauri, solo una pallida idea di cio che originariamente essa doveva essere.

Gioco del toro
Tra i meglio conservati, pur se con ampie integrazioni di restauro. Scena Gioco del Toro mostra, su un fondo turchese monocromo, due fanciulle (a tinta chiara) e un giovinetto (a tinta scura) intenti a cimentarsi nello sport allora piu popolare fra i Cretesi, quello del salto acrobatico sul toro. Sequenza cinematografica, tre momenti del gioco consistente nell’afferrare it toro per le corna, eseguire doppio salto mortale, ricadere a terra in posizione verticale. Presenza contemporanea di atleti dei due sessi testimonia una cultura nella quale, diversamente da quelle vicino-orientali, la donna iniziava a godere di un certo prestigio sociale.

Statuette votive
Molto intensa produzione statuette votive in ceramica smaltata (o invetriata). Le più note sono quelle del Museo Archeologico di Iraklion (isola di Creta) rappresentanti la Dea del serpenti – forse la Madre Terra -, una delle cosiddette divinità ctònie (“della terra” o «del sottosuolo», dal greco chthòn, terra). La statuetta (proveniente dal Palazzo di Cnosso) ha il tipico abito a falde ricadenti bloccato sui fianchi da un elemento a sella che sembrerebbe realizzato in stoffa più pesante. Uno stretto corpetto, che comprime e lascia scoperti i seni, cinge anche gli avambracci. Un gatto stà sulla testa della piccola divinità, le cui mani stringono e mostrano due serpenti, creature che si annidano negli anfratti della terra e che, perciò, ben rappresentano la Madre Terra.

La ceramica
La produzione di vasi in ceramica assume forme più libere rispetto a quella del periodo precedente e le decorazioni, a colori scuri su fordo chiaro, sono piu fantasiose e complesse. In base ai soggetti è possibile distinguere due stili: – stile vegetale (con decorazioni rappresentanti esclusivamente erbe e piante); – stile marino (con raffigurazioni di esseri marini). Esempi significativi di questi stili sono le pròchoi (sing. pròchous) del Museo Archeologico di Iraklion provenienti da Festo e da Zakro (l’unico dei grandi palazzi minoici, quest’ultimo, trovato non depredato). (Descrizione dei due vasi)

La scultura
La produzione scultorea e la lavorazione della pietra ebbero uno straordinario sviluppo assumendo un grande rilievo. L’opera simbolo è costituita da un rhytòn di steatite riproducente la testa del toro sacro. Si tratta di un vaso per le libagioni dotato di fori, sul collo e in corrispondenza delle narici, per immettere e versare liquidi. Solo il lato sinistro della testa è originale e le corna, che il restauro ha integrato in legno dorato, dovevano essere originariamente d’oro massiccio. La steatite è lavorata con grande maestria e precisione in modo da riprodurre le fattezze dell’animale, tanto che dei ciuffi di pelo sono incisi sul muso e altri, a forma di virgole, nella sporgenza fra le corna. Gli occhi in prezioso cristallo di rocca con il loro luccichio contribuivano a dotare la raffinata scultura di un soffio di vitalità.

Periodo postpalaziale (1400-1100 a.C.)
Più fattori contribuirono, probabilinente, alla fine della civiltà minoica:
– la tremenda eruzione vulcanica di Santorini (la più meridionale delle isole Cicladi) con i terremoti che ne seguirono;
– la definitiva conquista achea che portò alla totale distruzione dei nuovi palazzi.
L’ultnna fase della civiltà cretese si svolse dunque dopo l’espansione delle popolazioni achee. In conseguenza a questa nuova situazione la produzione artistica non fu più creativa. Le forme, infatti, si stabilizzarono su quelle già sperimentate con successo nei secoli precedenti e le decorazioni, con le relative tecniche, divennero sempre più ripetitive. L’arte, in breve, si trasformò in raffinato artigianato anche per effetto dei commerci con le popolazioni continentali.

  • I Micenei e le citta-fortezza
    • Miceneo Antico (1600-1500 a.C.)
      In questo periodo gli influssi cretesi sono ancura molto evidenti e la stessa produzione artistica minoica si sovrappone a quella micenea. I temi trattati nella ceramica sono gli stessi di quella cretese contemporanea e precedente. Sappiamo poco dei palazzi e delle abitazioni di questa prima fase, mentre numerose sono le tombe scoperte. In esse sono stati rinvenuti ricchi corredi funerari, che costituiscono senza dubbio i reperti più rappresentativi del periodo.

      • Tazza da Vafiò
        E’ una tazza d’oro proveniente dalla tomba di Vafiò in Lacònia (Peloponneso meridionale) che testimonia il forte legame tra la più antica produzione artistica micenea e quella coeva minoica, corrispondente alla piena fioritura del neopalaziale.
        La parte esterna con scene a sbalzo rappresentanti la cattura di alcuni tori, tipico tema cretese, mentre l’interno e rivestito di una lamina liscia. Nella riproduzione vediamo un toro che carica a testa bassa due cacciatori uno dei quali, travolto, cade rovinosamente a terra, mentre l’altro, infilzato dalle corna, viene gettato in alto.
        L’intera parte a sbalzo e dominata dalla possente massa dell’animale la cui testa, abbassata, ruotata e portata di lato si unisce alle zampe anteriori piegate e sollevate, secondo una rappresentazione fedele della furia selvaggia.

Maschere funebri dalle tombe reali
Nelle tombe reali di Micene furono rinvenute da Heinrich Schliemann cinque maschere funebri in lamina d’oro. Due di esse risultano particolarmente significative. Nella prima, le folte sopracciglia raggiate unite alla radice del naso e le ciglia sulle palpebre chiuse – ma separate da una linea incisa – sono gli elementi figurativi che da soli riescono a definire il volto e a caratterizzarlo, suggerendo le vere fattezze del defunto se, come sembra, su di esso la maschera e stata modellata. Nella seconda, la cosiddetta Maschera di Agamènnone, di più pregevole fattura, una linea incavata sottolinea le palpebre chiuse. La fine Barba e i baffi dalla linea ondulata nobilitano il personaggio raffigurato. Questa maschera appare estremamente piu raffinata e stilisticamente notevole se paragonata alle altre, e proprio questo è il motivo per cui ne è stata messa spesso in dubbio – anche recentemente – l’autenticità.

    • Miceneo Medio (1500-1400 a.C.)
      Il carattere distintivo di questo periodo di mezzo è la realizzazione di un numero notevole di tombe a thòlos, quasi tutte di rilevanti dimensioni e aventi per lo piu le medesime caratteristiche costruttive e la stessa organizzazione degli spazi.

      • La tholos
        La tholos è una sala circolare costituita da una pseudocupola ogivale formata da un certo numero di anelli lapidei (dal latino lapis, pietra). Disposti l’uno sull’altro e composti di grandi massi squadrati, essi, all’aumentare dell’altezza, vanno sempre più restringendosi finchè la struttura non si chiude [a].
        Ciò si ottiene facendo aggettare i massi di ogni singolo anello rispetto a quelli sottostanti [b]. E’ proprio la forma circolare di ciascun anello orizzontale che impedisce alle singole pietre di precipitare durante la costruzione [c].
        La faccia di ogni elemento squadrato rivolta verso l’interno del vano viene, quindi, sagomata – scalpellandola – in modo da originare, assieme a tutte le altre, una superficie perfettamente liscia [d]. La continuità della superficie concava interna conferisce alla tholos l’aspetto di una cupola, da cui, invece, si differenzia per il comportamento statico: da ciò il nome di pseudocupola (falsa cupola). Questa, infatti, si regge per gravità: è, cioe, il peso dei suoi vari elementi (conci) ad assicurarne la stabilità [e]. Al contrario, nella cupola (ad esempio in quella semisferica, la più comune) i conci, disposti filare per filare (un filare e costituito da un anello di conci) su una superficie conica [f] e indirizzati verso il centro [g], detto centro di curvatura, si spingono l’un l’altro consentendo alla struttura di sostenersi, di conseguenza, per mutuo contrasto. I principi statico e costruttivo della cupola sono, perciò, gli stessi dell’arco.

Tesoro di Atreo
La più celebre di queste architetture funerarie, il cosiddetto Tesoro di Atrèo, noto anche come Tomba di Agamennone, è situata a Micene.
L’edificio si compone di un corridoio (in greco dromos) [1], lungo 36 metri e largo 6 metri, le cui pareti di contenimento, formate da blocchi di pietra a filari orizzontali, crescono man mano che ci si avvicina alla tholos [2].
L’accesso avviene tramite un’ampia apertura di forma leggermente trapezoidale [3] alta 5,40 metri e larga circa 2,70 metri sormontata da un architrave monolitico [4] del peso approssimativo di 120 tonnellate.
Attualmente unico ornamento della facciata è costituito dalle leggere cornici dell’architrave, ma originariamente semicolonne decorate, collocate di fianco all’apertura, al di sopra delle quali due ulteriori colonnine delimitavano una lastra ornata con motivi a spirale di ispirazione minoica, forse anche vivacemente colorate [Fig. 3.24].
L’architrave è sormontato dal cosiddetto triangolo di scarico [5] La tholos [2] è una sala circolare del diametro di 14,50 metri, alta 13,20 metri, originarianiente decorata con rosette di bronzo a imitazione di un cielo stellato [Fig. 3.25].
La camera sepolcrale [7] vera e propria è, però, l’ambiente quadrangolare attiguo alla tholos destinata, invece, a contenere il ricco corredo funebre solitamente costituito da armi, scudi, carri ed altri strumenti da guerra, spesso impreziositi anche con rivestimenti in lamina d’oro.

    • Miceneo Tardo (1400-1100 a.C.)
      Quest’ultima fase si conclude con la distruzione dei grandi edifici a opera dei Dori, una nuova popolazione proveniente da Nord che si stabilisce nel Peloponneso sul finire dell’XI secolo a.C. Caratteristica del periodo è la costruzione delle immense mura che circondano il palazzo reale e le altre fabbriche dell’acropoli [Fig. 3.26], tanto che si è soliti definire le città micenee come città fortezza. Con il termine acropoli (composto di akros, estremo, e polis, città) si intende quella parte della citta posta più in alto e generalmente difesa da mura. Queste, a motivo della loro mole – circa 11 metri di spessore quelle di Tirinto, circa 6 metri quelle di Micene – furono dette ciclopiche perchè sembro che solo degli esseri semidivini e giganteschi, quali i Ciclopi, avessero potuto edificarle.

      • Tirinto
        Un esempio che è opportuno esaminare è costituito dalle possenti mura che circondano completamente l’acropoli di Tirinto. Esse sono dotate di pochi accessi [3.26, 1, 4] e di un camininamento coperto con lastroni di pietra inclinati [2], che circondano totalmente l’acropoli [Fig.3.27]. Un grande pròpylon (dal greco ingresso monumentale [4]), immette in un vasto cortile esterno [5] da cui, per mezzo di un piccolo propylon [6], si accede a un cortile porticato (aule) [7]. Su uno dei suoi lati si apre un megàron (dal greco megàs, grail [8), l’organismo più vasto e più interno dei palazzi micenei, che in seguito si dimostrerà di primaria importanza anche per la concezione del tempio greco. Il megaron si compone di tre spazi [Fig. 3.28]: il primo, a contatto con l’esterno, costituisce il vestibolo [1] e reca sul fronte due colonne fra le ante (terminazioni) dei muri laterali. Il secondo e l’antisala (o prodomos, cioe davanti alla sala) [2], alla quale si perviene tramite tre aperture esistenti nel vestibolo. Il terzo, che comunica con l’antisala per mezzo di un solo accesso, è costituito dalla grande sala del trono dotata di quattro colonne sorreggenti la copertura [3]. In essa e attorno al focolare, che ne occupava il centro, si riunivano il re (o wa-na-ka in «lineare B>>, cioè nella lingua dei Micenei, ànax nei testi omerici) e i suoi cortigiani.

Porta dei Leoni
Nella citta-fortezza di Micene una monumentale porta (larga 3 metri e alta 3,20 metri), detta (dei Leoni, immette nell’Acropoli ed e posta nelle immediate vicinanze del recinto delle tombe reali. Da essa si diparte la strada che conduce alle ricche pianure circostanti dell’Argolide. Il varco è costituito da una soglia, incassata sotto il livello del terreno, da due stipiti e da un architrave sovrastato, nel triangolo di scarico, da un rilievo, il cui soggetto da il nome alla porta stessa [Fig. 3.29]. In esso, infatti, sono rappresentate due leonesse rampanti, ora prive di testa, che poggiano le loro zampe anteriori sulla base di una colonna di tipo minoico. I feroci felini rappresentavano simbolicamente sia la potenza delle mura sia quella della città posta sotto la loro protezione. La tradizione vuole che dalla distruzione dei Dori solo una citta di impianto miceneo si sia salvata: Atene, nell’Attica. E da essa, simbolo di tutta la Grecia, che si svilupperà la grande arte ellenica erede e continuatrice della cultura e della creatività minoica e micenea.

 

 

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